Adriana e Leonora Baroni, Georgina, Maupin (Leonora Baroni) |
cantanti

Adriana e Leonora Baroni, Georgina, Maupin (Leonora Baroni) |

Leonora Barone

Data di nascita
1611
Data di morte
06.04.1670
Professione
cantante
Tipo di voce
soprano
Paese
Italia

Le prime primedonne

Quando sono apparse le primedonne? Dopo l'apparizione dell'opera, ovviamente, ma questo non significa affatto che allo stesso tempo. Questo titolo acquisì i diritti di cittadinanza in un momento in cui la storia turbolenta e mutevole dell'opera aveva attraversato ben lontano dal primo anno, e la forma stessa di questa forma d'arte nasceva in un ambiente diverso rispetto ai brillanti interpreti che la rappresentavano. “Dafne” di Jacopo Peri, prima rappresentazione intrisa dello spirito dell'umanesimo antico e meritevole del nome di opera, ebbe luogo alla fine del 1597° secolo. Anche la data esatta è nota: l'anno XNUMX. Lo spettacolo si tenne nella casa dell'aristocratico fiorentino Jacopo Corsi, il palcoscenico era una normale sala di ricevimento. Non c'erano tende o decorazioni. Eppure, questa data segna una svolta rivoluzionaria nella storia della musica e del teatro.

Per quasi vent'anni i fiorentini altamente istruiti - tra cui il conoscitore di musica Conte Bardi, i poeti Rinuccini e Cabriera, i compositori Peri, Caccini, Marco di Gagliano e il padre del grande astronomo Vincenzo Galilei - si erano perplessi su come adattare l'alto dramma degli antichi greci alle nuove esigenze di stile. Erano convinti che sul palcoscenico dell'Atene classica le tragedie di Eschilo e Sofocle non fossero solo lette e recitate, ma anche cantate. Come? Rimane ancora un mistero. Nel “Dialogo” che ci è pervenuto, Galileo ha delineato il suo credo nella frase “Oratio harmoniae domina absoluta” (La parola è l'assoluta padrona dell'armonia – lat.). Fu una sfida aperta all'alta cultura della polifonia rinascimentale, che raggiunse il suo apice nell'opera di Palestrina. La sua essenza era che la parola annegava in una complessa polifonia, in un abile intreccio di linee musicali. Che effetto può avere il logos, che è l'anima di ogni dramma, se non si può capire una sola parola di ciò che sta accadendo sulla scena?

Non c'è da stupirsi che numerosi tentativi siano stati fatti per mettere la musica al servizio dell'azione drammatica. Affinché il pubblico non si annoiasse, un'opera drammatica molto seria è stata intervallata da inserti musicali inseriti nei luoghi più inopportuni, danze a tutto tondo e polveri di maschere scariche, intermezzi comici con coro e canzoni, persino intere commedie madrigali in cui il coro ha posto domande e ha risposto. Questo è stato dettato dall'amore per la teatralità, la maschera, il grottesco e, non da ultimo, la musica. Ma le inclinazioni innate degli italiani, che adorano la musica e il teatro come nessun altro, portarono in modo indiretto alla nascita dell'opera. È vero, l'emergere del dramma musicale, questo precursore dell'opera, è stato possibile solo a una condizione importantissima: la bella musica, così piacevole all'orecchio, doveva essere relegata con la forza al ruolo di accompagnamento che avrebbe accompagnato un'unica voce isolata dalla polifonia diversità, capace di pronunciare parole, e tali Non può che essere la voce di una persona.

Non è difficile immaginare quale stupore abbia provato il pubblico alle prime rappresentazioni dell'opera: le voci degli interpreti non erano più affogate nei suoni della musica, come avveniva nei loro madrigali preferiti, villanelle e frottola. Al contrario, gli interpreti hanno pronunciato chiaramente il testo della loro parte, affidandosi solo al supporto dell'orchestra, in modo che il pubblico capisse ogni parola e potesse seguire lo sviluppo dell'azione sul palco. Il pubblico, invece, era costituito da persone colte, più precisamente da eletti, che appartenevano agli strati superiori della società – aristocratici e patrizi – da cui ci si poteva aspettare una comprensione dell'innovazione. Tuttavia, le voci critiche non si sono fatte attendere: hanno condannato la “noioso recitazione”, si sono indignati per il fatto che relegasse la musica in secondo piano, e ne hanno lamentato la mancanza con lacrime amare. Con la loro sottomissione, per divertire il pubblico, sono stati introdotti madrigali e ritornelli nelle rappresentazioni e la scena è stata decorata con una parvenza di backstage per animare. Eppure il dramma musicale fiorentino rimase uno spettacolo per intellettuali e aristocratici.

Quindi, in tali condizioni, le primedonne (o come si chiamavano allora?) potevano fare da levatrici alla nascita dell'opera? Si scopre che le donne hanno svolto un ruolo importante in questo business sin dall'inizio. Anche come compositori. Giulio Caccini, che lui stesso era un cantante e compositore di drammi musicali, aveva quattro figlie, e tutte suonavano, cantavano, suonavano vari strumenti. La più capace di loro, Francesca, soprannominata Cecchina, scrisse l'opera Ruggiero. Ciò non sorprese i contemporanei: tutti i "virtuosi", come venivano allora chiamati i cantanti, ricevevano necessariamente un'educazione musicale. Alle soglie del XIX secolo Vittoria Arkilei era considerata la regina tra loro. L'aristocratica Firenze la accolse come l'araldo di una nuova forma d'arte. Forse in essa si dovrebbe cercare il prototipo della prima donna.

Nell'estate del 1610 una giovane napoletana apparve nella città che fu culla dell'opera. Adriana Basile era conosciuta in patria come sirena della voce e godeva del favore della corte spagnola. Venne a Firenze su invito della sua aristocrazia musicale. Cosa abbia cantato esattamente, non lo sappiamo. Ma non certo le opere, a lei allora poco note, anche se la fama di Arianna di Claudio Monteverdi raggiunse il sud d'Italia, e Basile interpretò la celebre aria – Il reclamo di Arianna. Forse il suo repertorio comprendeva madrigali, le cui parole furono scritte dal fratello, e la musica, soprattutto per Adriana, era composta dal suo mecenate e ammiratore, il cardinale Ferdinando Gonzaga, ventenne, di nobile famiglia italiana che regnava a Mantova. Ma un'altra cosa per noi è importante: Adriana Basile ha eclissato Vittoria Arcilei. Con Cosa? Voce, performance art? È improbabile, perché per quanto possiamo immaginare, gli amanti della musica fiorentini avevano esigenze più elevate. Ma Arkilei, per quanto piccola e brutta, si tenne sul palco con grande autostima, come si conviene a una vera signora della società. Altro discorso è Adriana Basile: ha affascinato il pubblico non solo cantando e suonando la chitarra, ma anche con bei capelli biondi su occhi neri come il carbone, puramente napoletani, una figura purosangue, fascino femminile, che ha usato magistralmente.

L'incontro tra Arkileia e la bella Adriana, conclusosi nel trionfo della sensualità sulla spiritualità (il cui splendore è arrivato fino a noi attraverso lo spessore dei secoli), giocò un ruolo decisivo in quei lontani decenni in cui nacque la prima primadonna. Alla culla dell'opera fiorentina, accanto alla fantasia sfrenata, c'era ragione e competenza. Non sono bastati a rendere praticabile l'opera e il suo protagonista – il “virtuoso”; qui servivano altre due forze creative: il genio della creatività musicale (lo divenne Claudio Monteverdi) e l'eros. I fiorentini liberarono la voce umana da secoli di soggezione alla musica. Fin dall'inizio, l'acuta voce femminile personificava il pathos nel suo significato originale, cioè la sofferenza associata alla tragedia dell'amore. Come potevano Dafne, Euridice e Arianna, ripetute all'infinito in quel momento, toccare il loro pubblico se non con le esperienze d'amore insite in tutte le persone senza alcuna distinzione, che venivano trasmesse agli ascoltatori solo se la parola cantata corrispondeva pienamente all'intera apparenza del cantante? Solo dopo che l'irrazionale ha prevalso sulla discrezione, e la sofferenza sul palcoscenico e l'imprevedibilità dell'azione hanno creato terreno fertile per tutti i paradossi dell'opera, è scoccata l'ora per l'apparizione dell'attrice, che abbiamo il diritto di chiamare l'attrice prima prima donna.

In origine era una donna chic che si esibiva di fronte a un pubblico altrettanto chic. Solo in un'atmosfera di sconfinato lusso è stata creata l'atmosfera inerente a lei sola: un'atmosfera di ammirazione per l'erotismo, la sensualità e la donna in quanto tale, e non per un abile virtuoso come Arkileya. All'inizio non c'era tale atmosfera, nonostante lo splendore della corte ducale medicea, né a Firenze con i suoi conoscitori estetici dell'opera, né nella Roma papale, dove i castrati avevano a lungo soppiantato le donne e le espulse dalle scene, e nemmeno sotto il cielo meridionale di Napoli, come se fosse favorevole al canto. Fu creato a Mantova, una piccola città del nord Italia, che servì come residenza di potenti duchi, e poi nell'allegra capitale del mondo, a Venezia.

La bella Adriana Basile, di cui sopra, venne a Firenze in transito: dopo aver sposato un veneziano di nome Muzio Baroni, si stava dirigendo con lui alla corte del duca di Mantova. Quest'ultimo, Vincenzo Gonzaga, fu una personalità curiosissima che non ebbe eguali tra i regnanti del primo barocco. Possedendo insignificanti possedimenti, stretto da ogni parte da potenti città-stato, costantemente minacciato dall'attacco della Parma in guerra a causa dell'eredità, Gonzaga non godette di influenza politica, ma la compensò svolgendo un ruolo importante nel campo della cultura . Tre campagne contro i Turchi, alle quali lui, tardivo crociato, prese parte in prima persona, finché si ammalò di gotta nel campo ungherese, lo convinse che investire i suoi milioni in poeti, musicisti e artisti è molto più redditizio, e soprattutto, più piacevole che nei soldati, nelle campagne militari e nelle fortezze.

L'ambizioso duca sognava di essere conosciuto come il principale patrono delle muse in Italia. Un bel biondo, era un cavaliere fino al midollo, era un ottimo spadaccino e cavalcava, il che non gli impediva di suonare il clavicembalo e comporre madrigali con talento, sia pure dilettantesco. Fu solo grazie ai suoi sforzi che l'orgoglio d'Italia, il poeta Torquato Tasso, fu liberato dal monastero di Ferrara, dove fu tenuto tra i pazzi. Rubens era il suo pittore di corte; Claudio Monteverdi visse per ventidue anni alla corte di Vincenzo, qui scrisse “Orfeo” e “Arianna”.

L'arte e l'eros erano parti integranti dell'elisir di lunga vita che alimentava questo amante della dolce vita. Ahimè, nell'amore ha mostrato un gusto molto peggiore che nell'arte. Si sa che una volta che si ritirò in incognito per la notte con una ragazza nell'armadio di un'osteria, alla cui porta stava in agguato un sicario, alla fine, per sbaglio, conficcò il suo pugnale in un altro. Se contemporaneamente si cantasse anche il frivolo canto del duca di Mantova, perché non vorresti la stessa scena che fu riprodotta nella celebre opera verdiana? I cantanti erano particolarmente affezionati al duca. Ne comprò una, Caterina Martinelli, a Roma e la diede come apprendista al maestro di banda di corte Monteverdi: le ragazze erano un boccone particolarmente gustoso per il vecchio buongustaio. Katerina era irresistibile in Orfeo, ma all'età di quindici anni fu portata via da una morte misteriosa.

Ora Vincenzo ha d'occhio la "sirena delle pendici di Posillipo", Adriana Baroni di Napoli. Le voci sulla sua bellezza e talento canoro hanno raggiunto il nord Italia. Adriana, però, avendo sentito parlare del duca anche a Napoli, non essere sciocca, decise di vendere a caro prezzo la sua bellezza e la sua arte.

Non tutti concordano sul fatto che Baroni meritasse il titolo onorifico di prima prima donna, ma quello che non si può negarle è che in questo caso il suo comportamento non era molto diverso dalle abitudini scandalose delle più famose primedonne del periodo d'oro dell'opera. Guidata dal suo istinto femminile, rifiutò le brillanti proposte del duca, avanzò controproposte per lei più vantaggiose, si rivolse all'aiuto di intermediari, di cui il fratello del duca ebbe il ruolo più importante. Era tanto più piccante perché il nobile ventenne, che ricopriva la carica di cardinale a Roma, era perdutamente innamorato di Adriano. Infine, la cantante dettò le sue condizioni, compresa una clausola in cui, per preservare la sua reputazione di donna sposata, era previsto che sarebbe entrata al servizio non dell'illustre don Giovanni, ma di sua moglie, la quale, tuttavia, era stata a lungo sottratta ai suoi doveri coniugali. Secondo la buona tradizione napoletana, Adriana portava con sé come attaccamento tutta la sua famiglia – marito, madre, figlie, fratello, sorella – e anche i domestici. La partenza da Napoli sembrava una cerimonia di corte: folle di persone si radunavano intorno alle carrozze cariche, gioendo alla vista del loro cantante preferito, ogni tanto si sentivano benedizioni di addio dei pastori spirituali.

A Mantova il corteo ricevette un'accoglienza altrettanto cordiale. Grazie ad Adriana Baroni, i concerti alla corte del Duca hanno acquistato un nuovo splendore. Anche il severo Monteverdi ha apprezzato il talento del virtuoso, che a quanto pare era un talentuoso improvvisatore. È vero, i fiorentini cercavano in tutti i modi di limitare tutte quelle tecniche con cui gli artisti presuntuosi adornavano il loro canto: erano considerate incompatibili con l'alto stile del dramma musicale antico. Lo stesso grande Caccini, di cui sono pochi i cantanti, metteva in guardia dall'eccessivo abbellimento. Qual e il punto?! La sensualità e la melodia, che cercavano di uscire oltre il recitativo, si insinuano presto nel dramma musicale sotto forma di un'aria, e le esibizioni di concerti aprono a un virtuoso così straordinario come Baroni le più ampie opportunità di stupire il pubblico con trilli, variazioni e altri dispositivi di questo tipo.

Si deve presumere che, trovandosi alla corte di Mantova, difficilmente Adriana sarebbe riuscita a mantenere a lungo la sua purezza. Il marito, avendo ricevuto un'invidiabile sinecura, fu presto mandato come amministratore in una remota tenuta del duca, e lei stessa, condividendo la sorte dei suoi predecessori, diede alla luce un figlio Vincenzo. Poco dopo il duca morì e Monteverdi salutò Mantova e si trasferì a Venezia. Si concluse così il periodo d'oro dell'arte a Mantova, che Adriana trovò tuttora. Poco prima del suo arrivo, Vincenzo costruì un proprio teatro ligneo per la rappresentazione dell'Arianna di Monteverdi, in cui, con l'ausilio di funi e congegni meccanici, si realizzavano miracolose trasformazioni in scena. Il fidanzamento della figlia del duca stava arrivando e l'opera doveva essere il momento clou della celebrazione in questa occasione. La sontuosa messa in scena è costata due milioni di scudi. Per confronto, diciamo che Monteverdi, il miglior compositore dell'epoca, riceveva cinquanta scud al mese, e Adrian circa duecento. Anche allora, le primedonne erano valutate più in alto degli autori delle opere che eseguivano.

Dopo la morte del duca, la lussuosa corte del patrono, insieme all'opera e all'harem, cadde in completo declino sotto l'onere di milioni di debiti. Nel 1630, i lanzichenecchi del generale imperiale Aldringen - banditi e incendiari - finirono la città. Le collezioni di Vincenzo, i manoscritti più preziosi di Monteverdi perirono nell'incendio: solo la scena straziante del suo pianto è sopravvissuta di Arianna. La prima roccaforte dell'opera si trasformò in tristi rovine. La sua triste esperienza ha mostrato tutte le caratteristiche e le contraddizioni di questa complessa forma d'arte in una fase iniziale di sviluppo: spreco e brillantezza, da un lato, e completo fallimento, dall'altro, e, soprattutto, un'atmosfera piena di erotismo, senza il quale né l'opera stessa né la prima donna potrebbero esistere. .

Ora Adriana Baroni appare a Venezia. La Repubblica di San Marco divenne il successore musicale di Mantova, ma più democratica e decisa, e quindi influenzò maggiormente le sorti dell'opera. E non solo perché, fino alla sua imminente morte, Monteverdi fu direttore d'orchestra della cattedrale e realizzò significative opere musicali. Venezia di per sé ha aperto magnifiche opportunità per lo sviluppo del dramma musicale. Era ancora uno degli stati più potenti d'Italia, con una capitale incredibilmente ricca che accompagnava i suoi successi politici con orge di lusso senza precedenti. L'amore per una mascherata, per la reincarnazione, ha dato un fascino straordinario non solo al carnevale veneziano.

Recitare e suonare musica divenne la seconda natura delle persone allegre. Inoltre, non solo i ricchi partecipavano a spettacoli di questo tipo. Venezia era una repubblica, anche se aristocratica, ma tutto lo stato viveva di commercio, il che significa che gli strati più bassi della popolazione non potevano essere esclusi dall'art. Il cantante è diventato un maestro nel teatro, il pubblico ha avuto accesso ad esso. D'ora in poi, le opere di Onore e Cavalli furono ascoltate non dagli invitati, ma da coloro che pagavano l'ingresso. L'opera, che era stata un passatempo ducale a Mantova, si trasformò in un'attività redditizia.

Nel 1637 la famiglia patrizia del Trono costruì a San Cassiano il primo teatro lirico pubblico. Si differenziava nettamente dal palazzo classico con anfiteatro, come ad esempio il Teatro Olimpico di Vicenza, che è sopravvissuto fino ad oggi. Il nuovo edificio, di aspetto completamente diverso, rispondeva alle esigenze dell'opera e alla sua destinazione pubblica. Il palco era separato dal pubblico da un sipario, che per il momento nascondeva loro le meraviglie della scenografia. Il pubblico comune sedeva in platea su panche di legno, e la nobiltà sedeva in palchi che i patroni spesso affittavano per tutta la famiglia. La loggia era una stanza ampia e profonda dove la vita secolare era in pieno svolgimento. Qui, non solo gli attori venivano applauditi o fischiati, ma spesso venivano organizzati appuntamenti d'amore segreti. A Venezia iniziò un vero boom operistico. Alla fine del XIX secolo qui furono costruiti almeno diciotto teatri. Fiorirono, poi caddero in rovina, quindi passarono nelle mani di nuovi proprietari e si ripresentarono di nuovo: tutto dipendeva dalla popolarità degli spettacoli e dall'attrattiva delle stelle del palcoscenico dell'opera.

L'arte del canto acquisì rapidamente caratteristiche di alta cultura. È generalmente accettato che il termine “coloratura” sia stato introdotto nell'uso musicale dal compositore veneziano Pietro Andrea Ciani. Passaggi virtuosistici – trilli, scale, ecc. – che decorano la melodia principale, hanno deliziato l'orecchio. La nota redatta nel 1630 dal compositore romano Domenico Mazzocchi per i suoi allievi testimonia quanto fossero elevati i requisiti per i cantanti lirici. "Primo. La mattina. Un'ora di apprendimento di passaggi d'opera difficili, un'ora di apprendimento di trilli, ecc., un'ora di esercizi di scioltezza, un'ora di recitazione, un'ora di vocalizzazioni davanti a uno specchio per raggiungere una posa coerente con lo stile musicale. Secondo. Dopo pranzo. Mezz'ora teoria, mezz'ora contrappunto, mezz'ora letteratura. Il resto della giornata è stato dedicato alla composizione di canzonette, mottetti o salmi.

Con ogni probabilità, l'universalità e la completezza di tale educazione non hanno lasciato nulla a desiderare. Era causato da una grave necessità, poiché i giovani cantanti erano costretti a competere con i castrati, castrati nell'infanzia. Per decreto del papa, alle donne romane fu proibito di esibirsi in scena, e il loro posto fu preso da uomini privati ​​della virilità. Cantando, gli uomini hanno compensato le carenze per il palcoscenico dell'opera di una figura grassa sfocata. Il soprano artificiale maschile (o contralto) aveva un'estensione maggiore rispetto alla voce femminile naturale; non c'era splendore o calore femminile in lui, ma c'era una forza dovuta a un petto più potente. Dirai: innaturale, insapore, immorale... Ma all'inizio l'opera sembrava innaturale, altamente artificiale e immorale. Nessuna obiezione aiutò: fino alla fine del 1601° secolo, segnato dal richiamo di Rousseau al ritorno alla natura, il mezzo uomo dominò la scena operistica in Europa. La chiesa ha chiuso un occhio sul fatto che i cori della chiesa sono stati riforniti dalla stessa fonte, sebbene ciò fosse considerato riprovevole. Nel XNUMX, il primo castrato-sopranista apparve nella cappella papale, tra l'altro, un pastore.

In tempi successivi, i castrati, come i veri re dell'opera, furono accarezzati e inondati d'oro. Uno dei più famosi - Caffarelli, che visse sotto Luigi XV, poté acquistare con i suoi compensi un intero ducato, e il non meno famoso Farinelli riceveva cinquantamila franchi l'anno dal re Filippo V di Spagna solo per intrattenere quotidianamente l'annoiato monarca con quattro arie d'opera.

Eppure, per quanto i castrati fossero divinizzati, la primadonna non rimase nell'ombra. Aveva un potere a sua disposizione, che poteva usare con l'aiuto dei mezzi legali dell'opera: il potere di una donna. La sua voce risuonava in una forma stilizzata raffinata che tocca ogni persona: amore, odio, gelosia, desiderio, sofferenza. Circondato da leggende, la figura del cantante in abiti lussuosi era al centro del desiderio di una società il cui codice morale era dettato dagli uomini. Che la nobiltà difficilmente tollerasse la presenza di cantori di semplice origine: il frutto proibito, come sai, è sempre dolce. Anche se le uscite dal palco erano chiuse e sorvegliate per rendere difficile l'ingresso nelle scatole oscure dei signori, l'amore ha vinto tutti gli ostacoli. Dopotutto, era così allettante avere un oggetto di ammirazione universale! Per secoli, l'opera è stata fonte di sogni d'amore grazie alle primedonne che si confrontano favorevolmente con le moderne star di Hollywood in quanto potevano fare molto di più.

Negli anni turbolenti della formazione dell'opera si perdono le tracce di Adriana Baroni. Dopo aver lasciato Mantova, appare ora a Milano, poi a Venezia. Canta i ruoli principali nelle opere di Francesco Cavalli, famoso a quei tempi. Il compositore è stato incredibilmente prolifico, quindi Adriana appare sul palco abbastanza spesso. I poeti glorificano la bella Baroni nei sonetti, anche le sue sorelle fanno carriera sulla cresta della fama della cantante. L'anziana Adriana continua a deliziare gli estimatori del suo talento. Ecco come il violista del cardinale Richelieu, Pater Mogard, descrive l'idillio concertistico della famiglia Baroni: “La madre (Adriana) suonava la lira, una figlia suonava l'arpa e la seconda (Leonora) suonava la tiorba. Il concerto a tre voci e tre strumenti mi dilettava così tanto che mi sembrava di non essere più un semplice mortale, ma di essere in compagnia di angeli.

Lasciando finalmente il palco, la bella Adriana ha scritto un libro che può essere definito un monumento alla sua gloria. E, cosa che allora era una grande rarità, fu stampato a Venezia con il nome “Teatro di Gloria signora Adriana Basile”. Oltre alle memorie, conteneva poesie che poeti e gentiluomini deposero ai piedi della diva teatrale.

La gloria di Adriana è rinata nella sua stessa carne e sangue – in sua figlia Leonora. Quest'ultima ha persino superato la madre, sebbene Adriana rimanga ancora la prima in ordine nel campo dell'opera. Leonora Baroni conquistò veneziani, fiorentini e romani, nella città eterna conobbe il grande inglese Milton, che la cantò in uno dei suoi epigrammi. Tra i suoi ammiratori c'era l'ambasciatore francese a Roma, Giulio Mazzarino. Divenuto l'onnipotente arbitro delle sorti della Francia come cardinale Mazzarino, invitò Leonora con una compagnia di cantanti italiani a Parigi affinché i francesi potessero godere del magnifico bel canto. A metà del XIX secolo (il compositore Jean-Baptiste Lully e Moliere erano allora i maestri delle menti), la corte francese ascoltò per la prima volta un'opera italiana con la partecipazione del grande "virtuoso" e del castrato. Così la gloria della primadonna varcò i confini degli stati e divenne oggetto di esportazione nazionale. Lo stesso padre Mogar, elogiando l'arte di Leonora Baroni a Roma, ne ammirava in modo particolare la capacità di assottigliare il suono per operare una sottile distinzione tra le categorie cromatiche ed enarmoniche, segno della straordinaria educazione musicale di Leonora. Non c'è da stupirsi che lei, tra le altre cose, suonasse la viola e la tiorba.

Seguendo l'esempio della madre, seguì la strada del successo, ma l'opera si sviluppò, la fama di Leonora superò quella della madre, andò oltre Venezia e si diffuse in tutta Italia. Fu anche circondata da adorazione, a lei sono dedicate poesie in latino, greco, italiano, francese e spagnolo, pubblicate nella raccolta Poeti per la gloria della signora Leonora Baroni.

Era conosciuta, insieme a Margherita Bertolazzi, come la più grande virtuosa del primo periodo di massimo splendore dell'opera italiana. Sembrerebbe che l'invidia e la calunnia avrebbero dovuto oscurare la sua vita. Non è successo niente. La litigiosità, l'eccentricità e l'incostanza che in seguito divennero tipiche delle primedonne, a giudicare dalle informazioni pervenute fino a noi, non erano inerenti alle prime regine della voce. È difficile dire perché. O a Venezia, Firenze e Roma all'epoca del primo barocco, nonostante la sete di piacere, prevalevano ancora una morale troppo rigida, oppure c'erano pochi virtuosi, e quelli che lo erano non si rendevano conto di quanto fosse grande il loro potere. Solo dopo che l'opera cambiò aspetto per la terza volta sotto il sole afoso di Napoli, e l'aria da capo, e dopo di essa la voce supersofisticata si affermò pienamente nell'antico dramma per musica, i primi avventurieri, prostitute e criminali appaiono tra le attrici cantanti.

Una brillante carriera, ad esempio, è stata fatta da Julia de Caro, figlia di una cuoca e cantante errante, che è diventata una ragazza di strada. È riuscita a dirigere il teatro dell'opera. Dopo aver apparentemente ucciso il suo primo marito e aver sposato un bambino, è stata fischiata e messa fuori legge. Doveva nascondersi, non certo con il portafoglio vuoto, e rimanere nell'oscurità per il resto dei suoi giorni.

Lo spirito d'intrigo napoletano, ma già a livello politico e statale, permea l'intera biografia di Georgina, una delle più venerate tra le prime primedonne del primo barocco. Mentre era a Roma, si guadagnò il favore del papa e fu minacciata di arresto. Fuggì in Svezia, sotto gli auspici dell'eccentrica figlia di Gustavo Adolfo, la regina Cristina. Già allora, tutte le strade d'Europa erano aperte alle adorate primedonne! Christina aveva un tale debole per l'opera che sarebbe stato imperdonabile tacere su di lei. Dopo aver rinunciato al trono, si convertì al cattolicesimo, si trasferì a Roma e solo grazie ai suoi sforzi le donne furono autorizzate ad esibirsi nel primo teatro dell'opera pubblico a Tordinon. Il bando papale non resistette al fascino delle primedonne, e come potrebbe essere altrimenti se uno stesso cardinale aiutava le attrici, vestite con abiti maschili, a intrufolarsi sul palco, e l'altro – Rospigliosi, poi papa Clemente IX, scriveva poesie a Leonora Baroni e compose opere teatrali.

Dopo la morte della regina Cristina, Georgina riappare tra le figure politiche di alto rango. Diventa l'amante del viceré napoletano Medinaceli, che, senza badare a spese, patrocinava l'opera. Ma fu presto espulso, dovette fuggire in Spagna con Georgina. Poi è risorto, questa volta alla cattedra di ministro, ma a causa di intrighi e congiure, è stato gettato in prigione, dove è morto. Ma quando la fortuna ha voltato le spalle a Medinaceli, Georgina ha mostrato un tratto caratteriale che da allora è stato considerato tipico delle primedonne: la lealtà! In precedenza, condivideva lo splendore della ricchezza e della nobiltà con il suo amante, ma ora condivideva con lui la povertà, lei stessa andò in prigione, ma dopo qualche tempo fu rilasciata, tornò in Italia e visse comodamente a Roma fino alla fine dei suoi giorni .

Il destino più burrascoso attendeva la primadonna sul suolo di Francia, davanti al lussuoso backstage del teatro di corte della secolare capitale del mondo – Parigi. Mezzo secolo dopo l'Italia, sentì il fascino dell'opera, ma poi il culto della prima donna raggiunse lì vette senza precedenti. I pionieri del teatro francese furono due cardinali e statisti: Richelieu, che patrocinava la tragedia nazionale e personalmente Corneille, e Mazzarino, che portò l'opera italiana in Francia, e aiutò i francesi a rimettersi in piedi. Il balletto gode da tempo del favore della corte, ma la tragedia lirica – l'opera – ricevette pieno riconoscimento solo sotto Luigi XIV. Durante il suo regno, l'italiano francese Jean-Baptiste Lully, un ex cuoco, ballerino e violinista, divenne un influente compositore di corte che scrisse patetiche tragedie musicali. Dal 1669, al teatro dell'opera pubblico, chiamato Royal Academy of Music, venivano rappresentate tragedie liriche con l'obbligatoria mescolanza della danza.

Gli allori della prima grande primadonna di Francia appartengono a Martha le Rochois. Aveva un degno predecessore, Hilaire le Puy, ma sotto di lei l'opera non aveva ancora preso forma nella sua forma definitiva. Le Puy ha avuto un grande onore: ha partecipato a uno spettacolo in cui il re stesso ha ballato l'egiziano. Martha le Rochois non era affatto bella. I contemporanei la dipingono come una donna fragile, con mani incredibilmente magre, che è stata costretta a coprire con lunghi guanti. Ma padroneggiava perfettamente lo stile di comportamento magniloquente sul palco, senza il quale le antiche tragedie di Lully non potrebbero esistere. Martha le Rochois è stata particolarmente glorificata dalla sua Armida, che ha scioccato il pubblico con il suo canto pieno di sentimento e la sua postura regale. L'attrice è diventata, si potrebbe dire, orgoglio nazionale. Solo all'età di 48 anni lasciò il palco, ricevendo un posto di insegnante di canto e una pensione vitalizia di mille franchi. Le Rochois visse una vita tranquilla e rispettabile, che ricorda le stelle del teatro contemporaneo, e morì nel 1728 all'età di settantotto anni. È persino difficile credere che i suoi rivali fossero due famigerati attaccabrighe come Dematin e Maupin. Ciò suggerisce che è impossibile avvicinarsi a tutte le primedonne con gli stessi standard. Si sa di Dematin che ha lanciato una bottiglia di pozione in faccia a una bella giovane donna, che era considerata più bella, e il regista dell'opera, che l'ha scavalcata nella distribuzione dei ruoli, l'ha quasi uccisa con le mani di un sicario. Gelosa del successo di Roshua, Moreau e qualcun altro, stava per mandarli tutti nell'altro mondo, ma "il veleno non è stato preparato in tempo e lo sfortunato è sfuggito alla morte". Ma all'arcivescovo di Parigi, che l'ha tradita con un'altra signora, ella tuttavia "è riuscita a infilare un veleno ad azione rapida, così che presto morì nel suo castello di piacere".

Ma tutto questo sembra un gioco da ragazzi rispetto alle buffonate del frenetico Maupin. A volte assomigliano al folle mondo dei tre moschettieri di Dumas, con la differenza, tuttavia, che se la storia della vita di Maupin fosse incarnata in un romanzo, sarebbe percepita come un frutto della ricca immaginazione dell'autore.

La sua origine è sconosciuta, è solo accertato con precisione che è nata nel 1673 a Parigi e solo una ragazza è saltata fuori per sposare un funzionario. Quando il signor Maupin fu trasferito a servire nelle province, ebbe l'imprudenza di lasciare la sua giovane moglie a Parigi. Essendo un'amante delle occupazioni prettamente maschili, iniziò a prendere lezioni di scherma e si innamorò subito del suo giovane maestro. Gli amanti fuggirono a Marsiglia e Maupin si cambiò in abito da uomo, e non solo per essere irriconoscibile: molto probabilmente parlava di un desiderio di amore omosessuale, ancora inconscio. E quando una ragazza si innamorò di questo falso giovane, Maupin all'inizio la prese in giro, ma presto il sesso innaturale divenne la sua passione. Nel frattempo, dopo aver sperperato tutti i soldi che avevano, un paio di latitanti hanno scoperto che cantare può guadagnarsi da vivere e persino ottenere un impegno in un gruppo d'opera locale. Qui Maupin, nelle vesti di Monsieur d'Aubigny, si innamora di una ragazza dell'alta società marsigliese. I suoi genitori, ovviamente, non vogliono sapere del matrimonio della loro figlia con un comico sospettoso e per motivi di sicurezza la nascondono in un monastero.

I resoconti dei biografi di Maupin sul suo destino futuro possono, a propria discrezione, essere presi per fede o attribuiti alla sofisticata fantasia degli autori. È anche possibile che siano il frutto della sua autopromozione: l'inconfondibile istinto di Maupin ha suggerito che una cattiva reputazione a volte può essere facilmente trasformata in denaro. Apprendiamo così che Maupin, questa volta in forma di donna, entra nello stesso monastero per essere vicino alla sua amata e attende il momento opportuno per fuggire. Ecco come appare quando muore una vecchia suora. Maupin avrebbe scavato il suo cadavere e lo avrebbe messo sul letto della sua amata. Inoltre, la situazione diventa ancora più criminale: Maupin appicca un incendio, nasce il panico e, nel tumulto che ne segue, corre con la ragazza. Il delitto, però, viene scoperto, la ragazza viene restituita ai genitori e Maupin viene arrestato, processato e condannato a morte. Ma in qualche modo riesce a scappare, dopo di che le sue tracce si perdono per un po' – a quanto pare, conduce una vita da vagabondo e preferisce non rimanere in un posto.

A Parigi riesce a mostrarsi a Lully. Il suo talento è riconosciuto, il maestro la allena e in breve tempo debutta alla Royal Academy con il suo vero nome. Esibendosi nell'opera Cadmus et Hermione di Lully, conquista Parigi, i poeti cantano l'astro nascente. La sua straordinaria bellezza, temperamento e talento naturale affascinano il pubblico. Ha avuto particolarmente successo nei ruoli maschili, il che non sorprende date le sue inclinazioni. Ma la generosa Parigi li tratta favorevolmente. Ciò sembra particolarmente notevole se ricordiamo che, a differenza di altre roccaforti dell'arte operistica in Francia, i castrati non potevano mai entrare in scena. Cercano di non farsi coinvolgere dalla giovane primadonna. Dopo aver litigato una volta con il suo collega, un cantante di nome Dumesnil, gli chiese delle scuse e, non avendole ricevute, attaccò un giovane uomo sano con i pugni così rapidamente che non fece nemmeno in tempo a battere ciglio. Non solo lo ha picchiato, ma ha anche portato via la tabacchiera e l'orologio, che in seguito sono serviti come prova materiale importante. Quando il giorno dopo il poveretto cominciò a spiegare ai suoi compagni che le sue numerose contusioni erano il risultato di un attacco di briganti, Maupin annunciò trionfante che era opera delle sue mani e, per maggiore persuasione, gettò cose ai piedi del vittima.

Ma non è tutto. Una volta è apparsa alla festa, di nuovo in abito da uomo. Tra lei e uno degli ospiti scoppiò una lite, Maupin lo sfidò a duello. Hanno combattuto con le pistole. Mopan si è rivelato un tiratore più abile e ha schiacciato il braccio dell'avversario. Oltre ad essere ferito, subì anche un danno morale: il caso ricevette pubblicità, inchiodando per sempre il poveretto alla gogna: fu sconfitto da una donna! Un incidente ancora più incredibile ha avuto luogo durante un ballo in maschera: lì Maupin nel giardino del palazzo ha combattuto con le spade con tre nobili contemporaneamente. Secondo alcuni rapporti, ne uccise uno, secondo altri, tutti e tre. Non è stato possibile mettere a tacere lo scandalo, le autorità giudiziarie si sono interessate a loro e Maupin ha dovuto cercare nuove fasi. Rimanere in Francia era, a quanto pare, pericoloso, e poi la incontriamo già a Bruxelles, dove è naturalmente accettata come star dell'opera. Si innamora dell'elettore Massimiliano di Baviera e diventa la sua amante, il che non le impedisce di soffrire così tanto per i sentimenti non corrisposti per la ragazza da provare persino a mettere le mani addosso. Ma l'elettore ha un nuovo hobby, e lui, un nobile, manda a Maupin quarantamila franchi di compenso. Maupin infuriato lancia una borsa con i soldi alla testa del messaggero e inonda l'elettore con le ultime parole. Torna lo scandalo, non può più stare a Bruxelles. Tenta la fortuna in Spagna, ma scivola in fondo alla società e diventa la domestica di una contessa capricciosa. Manca da tempo – decolla e va all-in – cercando di riconquistare il palcoscenico parigino, sul quale ha conquistato tante vittorie. E infatti – la brillante primadonna è perdonata per tutti i suoi peccati, ha una nuova possibilità. Ma, ahimè, non è più la stessa. Lo stile di vita dissoluto non è stato vano per lei. A soli trentadue o trentaquattro anni è costretta a lasciare il palco. La sua ulteriore vita, calma e ben nutrita, non interessa. Il vulcano è fuori!

Ci sono pochissime informazioni affidabili sul tortuoso percorso di vita di questa donna, e questa è tutt'altro che un'eccezione. Allo stesso modo, anche i nomi dei fondatori di un nuovo genere d'arte, che hanno operato nel campo dell'opera nei primi giorni dell'apparizione delle primedonne, stanno affogando nel crepuscolo o nella completa oscurità del destino. Ma non è così importante se la biografia di Maupin sia una verità storica o una leggenda. La cosa principale è che parla della disponibilità della società ad attribuire tutte queste qualità a ogni primadonna significativa e considerare la sua sessualità, l'avventurismo, le perversioni sessuali, ecc. Come parte integrante dell'intricata realtà operistica come il suo fascino scenico.

K. Khonolka (traduzione — R. Solodovnyk, A. Katsura)

Lascia un Commento